Essere gentili può sembrare la scelta giusta, ma spesso produce risultati inattesi e contrari alle aspettative

Essere gentili può sembrare la scelta giusta, ma spesso produce risultati inattesi e contrari alle aspettative

Matteo Casini

Dicembre 13, 2025

In una conversazione recente ho chiesto a un amico: «Dove sto sbagliando?». La sua risposta è stata netta, quasi tagliente. Non si tratta di errori specifici, ma di una caratteristica che ormai appare un limite: sono troppo gentile, troppo disponibile, troppo inoffensivo. Per questo, dicono, nessuno mi teme davvero, e nella vita professionale e personale questa posizione non aiuta a emergere. Un fatto curioso che si ripete spesso: in molti ambiti si considera la gentilezza una debolezza, quasi un ostacolo al successo. Ma è davvero così?

Il tema riguarda un dibattito che coinvolge non solo il mio ambiente letterario, ma molti contesti sociali attuali. Si contrappongono due immagini forti: l’uomo che sceglie la via della fermezza, dell’ambizione e della durezza, e colui che mantiene un profilo gentile ma rischia di non essere ascoltato. In questi mesi, l’idea che la mansuetudine ostacoli il progresso emergere spesso nelle analisi di esperti e osservatori. Il dato di fatto è che, nel confronto quotidiano, chi sfoga rabbia e aggressività sembra ottenere maggior risalto. Chi vive in città nota per esempio come una discussione accesa catturi attenzione più facilmente di un dialogo pacato.

Al centro di tutto c’è una sensazione diffusa: essere gentili è diventato controproducente, almeno finché la società apprezza di più il conflitto che l’armonia. Un dettaglio che molti sottovalutano è che questa tendenza si riflette anche nelle forme culturali e politiche del nostro tempo, dal modo in cui si discutono le idee a come si gestiscono i rapporti interpersonali.

La sfida tra gentilezza e ambizione nel mondo del lavoro e della società

Per anni mi è stato detto che fare carriera significa scegliere tra due strade: quella dell’uomo buono o quella dell’uomo ambizioso. Una scelta fra gentilezza e determinazione, quasi una forzatura. In questo ambiente — come in diverse realtà italiane — spesso vince chi mostra aggressività o atteggiamenti spiccatamente competitivi. Ciò che emerge da questa dinamica è che la gentilezza viene percepita come un limite, perché non sarebbe sufficiente a imporsi.

Essere gentili può sembrare la scelta giusta, ma spesso produce risultati inattesi e contrari alle aspettative
Essere gentili può sembrare la scelta giusta, ma spesso produce risultati inattesi e contrari alle aspettative – giornatemagiche.it

Questa visione si ripercuote anche nel modo in cui ci si rapporta nella vita quotidiana. Tra colleghi, amici o conoscenti, viene raramente riconosciuta la forza di chi sceglie la diplomazia o la disponibilità come strumenti per risolvere situazioni complesse. Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno, durante i mesi più difficili, è quanto la freddezza o la durezza prevalgano in molti ambienti lavorativi e sociali. Ecco perché spesso ci si sente spinti a dover “tirare fuori gli artigli”, come si dice, per far valere le proprie idee o difendere la propria posizione.

Un aspetto che sfugge a chi vive in città è quanto questa mentalità possa diventare controproducente a lungo termine. Infatti, occuparsi solo d’ambizione e conflitto rischia di frammentare i rapporti e ridurre la qualità della collaborazione, specie in contesti complessi come i team di lavoro o le comunità urbane. È un equilibrio delicato che richiede attenzione e consapevolezza sulle forme di comunicazione e comportamento più funzionali.

Perché il bisogno di guerra soffoca la convivenza e la creatività

Negli ultimi anni, anche nelle recensioni letterarie o in ambito artistico si sente spesso dire che “l’unica critica che conta è quella feroce” e che «solo il conflitto può far rinascere l’arte». Una mentalità che sembra contagiare tutto: dalla cultura alla politica, fino ai rapporti interpersonali. Questo approccio implica che la vitalità di un’idea o di una persona è legata alla sua capacità di suscitare scontro e reazioni forti.

Un fenomeno che molti sottovalutano è come questa tensione porti a ignorare voci più pacate, ma altrettanto significative. L’attenzione si concentra su chi grida o provoca, mentre chi pratica la gentilezza rischia di passare inosservato. Nel quotidiano, molti sono convinti che solo attraverso l’ira o la sfida si possa emergere, mentre la vera convivenza sociale si basa invece sulla capacità di trovare mediazioni e accettare diversità.

Lo raccontano anche gli episodi di cronaca recente: una donna accoltellata senza motivo apparente in una grande città italiana, un evento che ha colpito e allarmato per la sua inaspettata violenza. Questo triste episodio ha sollevato interrogativi profondi sulla società contemporanea e sulle tensioni nascoste che ne minacciano l’equilibrio. È un dettaglio che molti sottovalutano, ma fa riflettere sul costo umano di un contesto che premia l’aggressività.

In molte situazioni, cedere all’ira o al risentimento sembra diventato inevitabile, per questo chi predilige la gentilezza potrebbe sentirsi fuori posto. Ma senza la capacità di calma, di ritirata quando serve e di riconciliazione, sarebbe difficile mantenere in piedi famiglie, comunità e istituzioni. La sfida principale del nostro tempo sta proprio nel riconoscere il ruolo fondamentale della gentilezza come elemento di resistenza e di progresso umano, contro la tentazione dell’isolamento e della durezza.

Gentilezza come risorsa per un futuro sostenibile

Nonostante le difficoltà, è importante ricordare che essere gentili non significa rinunciare alla forza o all’ambizione. Anzi, la gentilezza può rappresentare uno strumento potente per costruire legami duraturi e affrontare le sfide con maggiore equilibrio. È un dato che emerge chiaramente in diverse realtà italiane, dove la convivenza si regge proprio su piccoli gesti di attenzione e rispetto reciproco.

Personalmente, credo che la gentilezza sia una forma di intelligenza sociale, un “codice” che ci permette di sostenerci a vicenda come specie. In questi mesi, osservando i comportamenti nella vita quotidiana, si percepisce che il futuro si giocherà anche sulle capacità di cooperazione e ascolto. Un fatto che molti sottovalutano è che l’armonia non è mai un segno di debolezza, ma una condizione per durare nel tempo.

È vero, può sembrare controproducente quando il contesto premia chi grida di più o chi riesce a imporsi con l’arroganza. Tuttavia, questa dinamica si regge su equilibri fragili, destinati a crollare senza la solidità del rispetto e della comprensione. Ecco perché oggi più che mai la gentilezza deve essere vista come un investimento per garantire un avvenire coerente e inclusivo.

Riflettendo su questo, mi ritengo fortunato ad aver scelto di coltivare la gentilezza come parte della mia identità. In fondo, il vero progresso non si misura solo con le conquiste individuali, ma con la capacità di mantenere vive le relazioni umane e di agire per il bene collettivo. Una lezione che molti italiani stanno già osservando, forse con consapevolezza crescente.

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